Interoperabilità nella Pubblica Amministrazione: la chiave per una digitalizzazione efficace

La trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione non può prescindere da un elemento strutturale: l’interoperabilità. Si tratta della capacità dei sistemi informativi di diverse amministrazioni di comunicare e scambiarsi dati in modo sicuro, coerente e automatico. È una condizione essenziale per offrire servizi pubblici integrati, semplici, accessibili e per ridurre inefficienze, errori e duplicazioni.

Oltre la digitalizzazione dei singoli uffici

Negli anni scorsi, molte PA hanno digitalizzato processi e archivi interni, ma spesso in modo verticale e disomogeneo. Il risultato è un mosaico di software, banche dati e piattaforme che non dialogano tra loro. In questo contesto, l’interoperabilità rappresenta l’evoluzione necessaria: non basta informatizzare, occorre connettere. Un cittadino che cambia residenza non dovrebbe dover comunicare la variazione a ogni ente interessato. Un’impresa non dovrebbe inserire gli stessi dati in ogni procedura autorizzativa. Questo è possibile solo se i sistemi delle PA si scambiano le informazioni in modo trasparente, standardizzato e automatizzato.

Il modello italiano: SPC, PDND, API e Ontologie

In Italia, il percorso verso l’interoperabilità è tracciato dal Modello di Interoperabilità pubblicato da AgID, e si basa su una serie di infrastrutture e standard: • SPC (Sistema Pubblico di Connettività): la rete che connette le PA e garantisce la sicurezza nelle comunicazioni. • PDND (Piattaforma Digitale Nazionale Dati): è il nodo centrale per lo scambio dati tra amministrazioni. Funziona come un hub in cui ogni ente espone API e consente ad altri soggetti pubblici di accedere in modo controllato alle proprie informazioni. • API (Application Programming Interface): interfacce che permettono l’interazione tra applicazioni diverse. AgID promuove un catalogo pubblico delle API, per rendere gli scambi trasparenti e riutilizzabili. • Ontologie e vocabolari controllati: per garantire che tutti i sistemi parlino la “stessa lingua”, è fondamentale definire regole semantiche condivise. In questo modo, il significato dei dati resta invariato anche tra sistemi diversi.

Benefici per cittadini, imprese e amministrazioni

Un sistema pubblico interoperabile genera benefici tangibili: • Per i cittadini: meno burocrazia, meno moduli, tempi più rapidi. L’esperienza utente diventa fluida e centrata sulle esigenze reali, non sui confini tra enti. • Per le imprese: maggiore efficienza nei rapporti con la PA, possibilità di integrazione con servizi digitali avanzati, riduzione dei costi di conformità. • Per le amministrazioni: migliore qualità dei dati, automazione dei processi interni, possibilità di analytics e decisioni data-driven, riduzione delle ridondanze.

Sfide e criticità

L’interoperabilità richiede investimenti tecnologici, competenze specialistiche e un cambio di mentalità. Le principali sfide includono: • La frammentazione tecnologica: molte PA utilizzano software legacy, non pensati per comunicare tra loro. • La governance dei dati: occorre definire chi gestisce, aggiorna e condivide le informazioni. • La sicurezza: gli scambi devono avvenire in modo tracciato, cifrato e nel rispetto della normativa GDPR. • La standardizzazione: la mancanza di standard uniformi ostacola l’integrazione tra enti diversi.

Il ruolo dei Comuni

I Comuni, in particolare quelli medio-piccoli, sono spesso i più esposti a queste difficoltà. Tuttavia, grazie ai finanziamenti del PNRR e alle piattaforme abilitanti offerte dallo Stato (come pagoPA, SPID, CIE, ANPR), hanno oggi l’opportunità concreta di evolversi verso un’amministrazione integrata e digitale. Avviare progetti di interoperabilità, anche in forma associata tra Comuni, è un passo strategico per migliorare la qualità dei servizi e semplificare il rapporto con cittadini e imprese.